
1. Competenze tecnico-professionali e competenze trasversali
Fin dal suo nascere il concetto di competenza ha compreso due insiemi distinguibili, anche se non sempre in modo netto.
Da un lato si trovano le competenze tecnico-professionali, che scaturiscono dalle esigenze di specifici contesti lavorativi. Esse indicano quei comportamenti abituali che sono richiesti da una prestazione professionale intesa nella sua specificità, collegata con un ruolo distinto da altri1. Ad esempio, quando ricorro a un avvocato mi attendo da lui una serie di comportamenti attinenti alla pratica del diritto, come l’individuazione delle norme di legge attinenti al mio caso, lo svolgimento di argomentazioni giuridiche a tutela dei miei interessi, la formulazione di istanze nei modi e nei termini accettati nel mondo forense, etc.
Dall’altro lato si trovano le competenze applicabili in un ampio numero di situazioni e di contesti. Esse indicano quei comportamenti abituali richiesti nell’esercizio di ogni professione e nel compimento di ogni tipo di lavoro. Ad esempio, tanto l’avvocato, quanto l’architetto, quanto tanti altri tipi di professionisti sono chiamati ad essere pazienti nel comprendere a fondo ciò che interessa ai loro clienti e solleciti nel fornire loro le informazioni relative allo stato delle questioni che sono state loro affidate. Queste competenze si chiamano trasversali proprio perché comuni a diversi lavori.
A ben guardare, il concetto di competenza trasversale si riferisce, propriamente, non tanto a competenze tecnico-professionali spendibili egualmente in diversi settori, quanto piuttosto al modo di essere del soggetto nel realizzare l’attività lavorativa. Le competenze trasversali sono riferite alla persona piuttosto che al lavoro2: esse si possono identificare attraverso le modalità positive e costruttive con cui la persona instaura e mantiene le relazioni con altri oppure affronta e gestisce i problemi.
Le abilità corrispondenti alle competenze trasversali sono conosciute oggi come soft skills, termine complementare rispetto a quello di hard skills, che designa le abilità corrispondenti alle competenze tecniche3.
L’aggettivo soft ha il significato, secondo il contesto, di: morbido, soffice, tenero, delicato, leggero, lieve, impalpabile. Il nome inglese si è imposto anche perché in italiano non esiste un termine equivalente che sia attraente: possiamo parlare, in alternativa a competenze trasversali, di competenze leggere, oppure ancor meglio immateriali, o astratte, nel senso di non legate ad una specifica tipologia di lavoro.
La leggerezza, o impalpabilità, ha come conseguenza una maggiore “inafferrabilità” di queste competenze rispetto a quelle tecniche, nel senso di una maggiore difficoltà a valutare se una persona le possegga, e in che grado. Ci accorgiamo facilmente se qualcuno è in grado o no di svolgere un determinato lavoro, e dopo un po’ arriviamo a valutare con facilità il suo rendimento in termini quantitativi e qualitativi. Più difficile è questa valutazione rispetto alle competenze trasversali.
Esistono nella realtà delle zone di confine nelle quali la distinzione fra competenze tecnico-professionali e competenze trasversali perde chiarezza. Ad esempio, alcune competenze trasversali sono particolarmente chiamate in causa per alcuni tipi di professione, tanto da essere considerate particolarmente doverose per certi professionisti, come la puntualità per l’avvocato o l’attenzione per il chirurgo.
Al di là di questo limite teorico, proprio di ogni schema mentale, l’individuazione della categoria delle competenze trasversali è preziosa perché mette in risalto come nell’agire per trasformare la realtà – che è l’aspetto caratteristico del lavoro – esiste una unità profonda della persona e del suo rapporto con le cose e con gli altri, che non può essere risolta adeguatamente negli schemi comportamentali propri di ogni professione. Prima ancora di avere un ruolo professionale, ciascuno è una persona, con un vissuto, prospettive e qualità che si esprimono necessariamente in ogni atto che compie.
2. Le dimensioni psicologiche implicite nelle competenze trasversali
Come esempi di soft skills richieste nel mondo del lavoro, si possono citare4:
- la capacità di ascoltare e comunicare oralmente;
- la capacità di adattarsi e di reagire in modo creativo a insuccessi ed ostacoli;
- il dominio di sé, la fiducia e la motivazione personali necessari per lavorare verso degli obiettivi;
- il desiderio di sviluppare la propria carriera e l’orgoglio per i risultati raggiunti;
- l’efficacia nel lavoro di gruppo e nelle relazioni interpersonali, la capacità di cooperare e lavorare in team, l’abilità di negoziare in caso di disaccordo;
- le capacità organizzative, il desiderio di dare il proprio contributo, le potenzialità necessarie per assumere la leadership.
Questo breve elenco è sufficiente a far comprendere che le competenze trasversali presuppongono alcune dimensioni prettamente psicologiche. Dato che, come spiegherò, le competenze trasversali si riassumono nel modo equilibrato di gestire le relazioni personali e di affrontare i problemi, i comportamenti corrispondenti hanno la loro radice nelle tendenze della personalità che presidiano l’equilibrio interiore.
La psicologia chiama tali tendenze, a seconda delle correnti che le hanno studiate:
- autostima, ovvero libertà da dubbi su sé stessi e sul proprio valore5;
- self-efficacy, ovvero sicurezza di essere capaci di risolvere i problemi che si presentano6;
- locus of control interno, ovvero convinzione che il principio ultimo della soluzione dei problemi che si affrontano è in sé stessi7.
Dalla consistenza di questi atteggiamenti interiori scaturisce la mancanza di aspettative sul riconoscimento del proprio valore personale da parte degli altri e rispetto agli esiti del proprio agire. Ciò non vuol dire che la persona dotata di autostima (o, analogamente, avente self-efficacy, o locus of control interno) non provi piacere quando le proprie doti vengono riconosciute e le proprie azioni hanno successo. Tuttavia chi ha autostima non si sente misurato dall’accettazione, dal consenso o dal riconoscimento degli altri, oppure dal successo di ciò che fa, perché ha già un giudizio interiore positivo su di sé. Di conseguenza è in grado di impostare un rapporto equilibrato sia con gli altri che con i propri obiettivi:
- Non si sente ferito o abbattuto quando il consenso degli altri o il successo vengano a mancare.
- In tali casi, anziché subire un deficit di energie, reagisce con un surplus di energie individuando i cambiamenti da apportare al proprio operato per renderlo più efficace.
- Conserva perciò un atteggiamento positivo e ottimistico sia verso gli altri che verso la realtà da modificare.
Fatta questa premessa, occorre chiarire che la descrizione di questi fenomeni attraverso le competenze prescinde da un approccio psicologico, nel senso che si concentra sui comportamenti e sullo sviluppo degli abiti. Si evita quindi di analizzare le radici psicologiche di comportamenti inadeguati e del mancato sviluppo degli abiti, per privilegiare l’allenamento sui comportamenti.
Questo approccio comporta molti vantaggi se è utilizzato al fine di guidare le persone dalla normalità verso l’eccellenza. Non è invece opportuno, in linea di principio, quando ci si trova di fronte a gravi carenze della personalità: ad esempio, una carenza di autostima generale non potrebbe essere supplita con l’allenamento sui comportamenti propri delle competenze trasversali. Diverso sarebbe il caso di una carenza di autostima contestuale, cioè riferita solo ad un ambito ben definito dell’agire, ma compensata dall’autostima generale e in altri contesti8. Qualora ci si trovi di fronte a problemi di natura psichiatrica, l’approccio psicoterapeutico non è sostituibile con altri.
3. Una possibile classificazione
Quando ci chiediamo quali siano le competenze trasversali stiamo operando un’astrazione rispetto al concetto di competenza descritto nel capitolo precedente. Infatti non stiamo ricavando queste competenze da uno scopo pratico per conseguire il quale sono funzionali alcuni comportamenti, bensì stiamo generalizzando l’esperienza per cui, in relazione a una vasta gamma di scopi pratici, risultano funzionali i comportamenti che consideriamo.
Esistono vari criteri possibili per ordinare tali comportamenti. Per non tediare con questioni accademiche, propongo direttamente la classificazione che ritengo più utile. Questa prende spunto dalla classificazione delle competenze emotive di Daniel Goleman, che può essere considerata un autorevole punto di riferimento9.
Peraltro nessuna classificazione può avere la pretesa di essere esaustiva. Non soltanto perché, come in ogni campo, la realtà supera sempre la schematizzazione concettuale della mente; ma anche perché, in questo campo, comportamenti considerati in astratto (come è inevitabile in una definizione) includono una molteplicità di comportamenti più specifici. Perciò ogni competenza contiene potenzialmente una molteplicità di singoli comportamenti. Di conseguenza è possibile che un comportamento che rientra come dimensione potenziale di una competenza possa essere considerato, in un’altra prospettiva, una competenza a sé stante.
Avviso anche, a scanso di equivoci, che il raggruppamento 4 x 4 che conduce a individuare 16 competenze è frutto di una scelta arbitraria. Essa è motivata dall’esigenza di dotare il lettore di uno strumento operativo per l’autovalutazione delle competenze trasversali. Uno strumento operativo non può essere eccessivamente ricco di elementi, pena l’eccessiva lunghezza nell’utilizzazione e, di conseguenza, l’inutilità pratica. In realtà sarebbe possibile enucleare, per ciascuna categoria, un numero molto più ampio di competenze.
4. Ordinamento delle competenze trasversali
Fatte queste premesse metodologiche, descrivo le categorie nelle quali ho ordinato le competenze trasversali.
I sottoinsiemi più ampi sono quelli delle competenze relazionali e delle competenze gestionali. Le prime descrivono la dimensione del relazionarsi, le seconde la dimensione dell’affrontare.
Le competenze relazionali sono comportamenti abituali funzionali allo scopo della positiva e costruttiva gestione delle relazioni personali.
Esse si possono distinguere in due categorie: competenze interpersonali e competenze comunicative.
Le competenze interpersonali sono comportamenti che contribuiscono all’instaurazione e al mantenimento della relazione personale. All’interno di questa categoria distinguo:
- Assertività: coniugare l’autostima e la determinazione nell’affermare le proprie idee con il rispetto e la valorizzazione degli altri.
- Accoglienza: valorizzare, nell’instaurare una relazione personale, ciò che unisce e accomuna, ed eliminare barriere che accentuano le distanze.
- Fiducia: manifestare all’altro di credere nella sua sincerità, nella sua bontà e nelle sue capacità e, coerentemente, fornirgli feedback senza giudicare.
- Gestione del conflitto: evitare che la diversità degeneri in conflitto e ricondurre il conflitto a un disaccordo, salvando la relazione personale.
Le competenze comunicative sono comportamenti che, all’interno di una relazione, favoriscono l’effettiva comprensione dei contenuti che si intendono trasmettere. All’interno di questa categoria distinguo:
- Ascolto: dedicare all’altro la propria piena attenzione.
- Rispecchiamento: rafforzare affinità nei contenuti e nell’espressività.
- Feedback: comunicare le proprie percezioni relative all’altro in modo distinto dalle proprie interpretazioni, consegnandole alla sua valutazione.
- Incisività: impiegare in modo ordinato e coordinato i tre canali comunicativi per suscitare l’attenzione e favorire chiarezza nella comprensione.
La seconda macrocategoria è costituita dalle competenze gestionali. Essa comprende i comportamenti abituali che sono funzionali alla soluzione dei problemi, ovvero all’ottenimento di un risultato.
Secondo che il risultato voluto sia conseguibile da soli oppure assieme ad altri, le competenze gestionali possono classificarsi in competenze strategiche e in competenze manageriali.
Le competenze strategiche sono comportamenti abituali che dispongono in modo positivo e costruttivo la singola persona nei confronti del trovare soluzioni. Ho identificato le seguenti:
- Creatività: distanziarsi dalle proprie certezze e abitudini per cercare punti di vista e soluzioni nuove.
- Apprendimento: imparare ciò che occorre sapere o saper fare per operare in modo efficace.
- Progettualità: tradurre i sogni in progetti.
- Proattività: agire in base a un progetto.
Le competenze manageriali sono comportamenti abituali che promuovono la collaborazione con altri per ottenere assieme un risultato. Ho identificato le seguenti:
- Motivazione: rendere partecipi gli altri dei propri obiettivi.
- Interazione: informare e consultare i propri collaboratori nella misura e con le modalità opportune.
- Mediazione: trovare una soluzione diversa e accettabile partendo da pretese inconciliabili.
- Formazione: promuovere la crescita del potenziale delle persone con cui si collabora.
Note
- Vedi L. Spencer – S. Spencer, Competenza nel lavoro: modelli per una performance superiore (1993), tr. it., Franco Angeli, Milano 1995.
- Cfr. F. Pedone, Valutazione delle competenze e autoregolazione dell’apprendimento, cit., p. 30.
- La distinzione corrisponde a quella, talvolta usata, fra life skills e job skills.
- A.P. Carnevale – L.J. Gainer – A.S. Meltzer (eds.), Workplace Basics: the Skills Employers Want, U.S. Department of Labor Employment and Training Administration, Alexandria 1989.
- Vedi M. Miceli, L'autostima, Il Mulino, Bologna 1998; E. Giusti, Autostima: psicologia della sicurezza di sé, Sovera, Roma 1995.
- A. Bandura, Autoefficacia: teoria e applicazioni, cit.; Id., Self Efficacy: Torward a Unifying Theory of Behavioural Change, cit.
- L’idea di locus of control si deve a Julian Rotter. Nato a New York nel 1916, ha insegnato psicologia clinica prima alla Ohio State University e successivamente alla University of Connecticut. È stato Presidente dell’ American Psychological Association. Le sue pubblicazioni sull’argomento sono: Generalized Expectancies of Internal Versus External Control of Reinforcements, in «Psychological Monographs», 80 (1966), pp. 1 – 28; Some Problems and Misconceptions Related to the Construct of Internal Versus External Control of Reinforcement, in «Journal of Consulting and Clinical Psychology», 43 (1975), pp. 56 – 67; Internal Versus External Control of Reinforcement: a Case History of a Variable, in «American Psychologist», 45 (1990), pp. 489 – 493.
- Questa distinzione è trattata ampiamente da P. Cardona – P. García-Lombardía, Cómo desarrollar las competencias de liderazgo, Eunsa, Pamplona 2005, pp. 144 – 147.
- Per una analisi della classificazione di D. Goleman e un distanziamento su alcuni aspetti cfr. Massimo Tucciarelli, Coaching e sviluppo delle Soft Skills, cap. 2, par. 5.